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124 ARISTOFANE

altro che raccogliere il frutto di quanto avevano seminato i generali Demostene e Nicia. Tale idea diede il primo impulso ed è il motivo dominante dei Cavalieri, arditamente avventati contro l’odiato demagogo nel momento della sua più sfolgorante potenza.

Aristofane aveva già sperimentato che cosa frutti ad un poeta avventurarsi fra le gore della politica. Nelle Grandi Dionisie del 426, presenti gli alleati che giusto di quella stagione solevano portare i tributi ad Atene, aveva fatti rappresentare i Babilonesi, nei quali metteva in guardia i suoi concittadini contro le lusinghe e le trappolerie dei barbari, e li consigliava a trattare invece più umanamente gli alleati. Già di per sé queste due tèsi dovevano spiacere a Cleone, vago, per necessità professionale, di pescar nel torbido; ma nella commedia non dovevano poi scarseggiare attacchi personali all’aborrito demagogo, che chiamò in giudizio il poeta, accusandolo di screditare la città dinanzi ai forestieri. Aristofane riusci appena appena a svignarsela. Ma, punto intimidito, l’anno appresso raddoppiò la dose negli Acarnesi, riprendendo le tèsi già sostenute, e rinnovando, certo con maggiore acrimonia, gli attacchi contro il cuoiaio trionfatore. E già vagheggiava, e già minacciava, per bocca dei suoi coreuti acarnesi, questo flagello dei Cavalieri:

Più di Cleon, che in suole ridurre pei calzari
dei Cavalieri io voglio, d’odio degno m’appari!

Acarnesi, 301.


I Cavalieri, l’unica milizia permanente d’Atene, erano mille giovani scelti fra i più prestanti e più agiati: aristocratici, quindi, in genere, e nemici di Cleone. Indi la simpatia d’Ari-