nella. Spesso non si limitavano alle parole, ma gittavano addirittura agli spettatori noci, fichi secchi e simili
leccornie. Aristofane ben due volte protesta contro questa goffaggine (Calabroni, 61; Pluto, 850); pure, durante la consacrazione di Eirene, Trigeo ordina come
nulla al servo di gittare orzo agli uditori.
Non meno inveterato nei personaggi comici, e non
meno accetto al pubblico, era il vezzo di giuocare a carte
scoperte, di parlare come se si trovassero nel mondo reale
anziché nella convenzione comica. Di tali strappi alla
illusione scenica, se ne posson mietere in Aristofane. Qui
ricorderemo quel Giove del Dedalo, commedia pure
aristofanesca, perduta, che, tornando in cielo dopo una
delle solite scappatelle, e prendendo posto in qualche
macchina che doveva sollevarlo, diceva (Framm. 188).
Dà pur quando ti piace, o macchinista,
l’ordine che funzioni la carrucola.
Ma non concedendogli il primo posto abbiam fatto
un grave torto a un altro motivo comico; la bastonatura.
Le nerbate fioccano nella commedia d’Aristofane; e
nessuno chiederà i titoli d’antichità di simile lazzo, che
costituisce tuttora il piatto forte della commedia dei burattini.
Piuttosto è interessante ricordare certe imitazioni
mimiche che presto si stilizzano e divengono canoniche.
Tra le più gradite conviene certo mettere in prima fila
quella del barbiere. La sbarbificazione ha sempre dato
negli occhi agli autori di farse; e tutta la tradizione comica popolare è piena di barbitonsori chiacchieroni, di