e intrecciate bizzarramente con qualche elemento della
propria lingua. Esempio cospicuo, l’indiano della farsa
d’Oxyrhynchus.
Altri ed altri lazzi potremmo ancora ricordare, alcuni
mimici, altri di fondamento grossamente etologico, altri
puramente verbali. Ma il lettore che oramai ha capito il
genere, li riconoscerà senz’altro nelle commedie aristofanesche, e saprà sotto che luce considerarli.
Voglio però ancora rilevare un principio generale,
che Aristofane sfrutta largamente in ogni elemento dei
suoi drammi, dalle grandissime linee ai più minuti particolari, e che certamente apprese, egli, come, senza dubbio, i suoi predecessori, dalla farsa popolare. Vo’ dire la
simmetria. Con la contrapposizione piccante o la ripetizione, che è poi una categoria della simmetria, di due
scene, di due motivi, il nostro poeta esalta mirabilmente
un’idea sino al massimo dell’effetto. 11 finale degli Acarnesi offre, nel suo complesso, un esempio tipico. È la
festa dei Boccali, e Diceopoli è tutto inteso a preparativi
culinari. Giunge un araldo, e chiama Lamaco: corra,
sotto il fioccar della neve, a difendere i confini, pigliando
alla spiccia schiere e ciuffi. Ecco un altro araldo: corra
Diceopoli, a pranzo dal prete di Diòniso, pigliando alla
spiccia sporta e boccale. Segue un duetto, tutto intessuto
di precisi contrasti. Infine, Lamaco va da una partii dicendo che il tempo mette a neve. Diceopoli dall’altra,
dicendo che mette a bagordi. Dopo un breve intermezzo,
ecco da una parte Lamaco, ferito, sostenuto da due commilitoni; e dall’altra Diceopoli, ebbro, puntellantesi a