Pagina:Compendio del trattato teorico e pratico sopra la coltivazione della vite.djvu/136

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mia, l’uomo che vi è dentro la pesta coi suoi zoccoli, e la getta nella tina, sollevando una delle bande, ch’è mobile fra due scanalature. Per evitare i movimenti della troppo grande quantità di mosto, che potrebbe soprannuotare, si aprono nel fondo dei piccoli buchi del diametro di qualche linea, attraverso i quali scola il liquore, a misura che si spreme l’uva.


Tine.


La fermentazione della vendemmia si opera di ordinario in gran vasi di legno, che si chiamano tine. Sono rotonde, o quadrate, o aventi la forma di cono troncato, e i cerchi che le guerniscono sono fatti di castagnaio, di betula, di frassino, o anche ferro: le doghe sono di gelso, di quercia, o di castagno.

La tina rotonda, sebbene generalmente più impiegata, e la più cattiva di tutte queste forme: la sua costruzione è tanto nota, ch’è inutile descriverla.

Qualunque sia la natura del legno, che si scelga per le tine quadre, dev’essere perfettamente secco, senza nodi, nè fessure, e le doghe devono essere fatte con tanta attenzione, che quando si mettono l’una attacco all’altra, non lascino fra esse alcuna apertura. La capruggine dev’essere profonda, e larga, perfettamente tagliata colla squadra, e non bisogna soprattutto scordare di ben riunire tutte le parti che compongono il fondo. La tina è mantenuta da quattro ordini di cerchi, che sono di