Pagina:Contro Wagner, Riccardo Ricciardi, 1914.djvu/89

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wagner apostolo di castità 85

di quanto v’è di antinaturale nell’ideale ascetico. Parsifal è per eccellenza un soggetto d’operetta. Il Parsifal di Wagner non è il sorriso nascosto del maestro? quel sorriso di superiorità che s’infischia di sé stessa, il trionfo della sua ultima, della sua suprema libertà d’artista, del suo «al di là» di artista — non è Wagner che sa ridere di sè stesso?... Si potrebbe, lo ripeto ancora, augurarselo. Giacchè, cosa sarebbe Parsifal preso sul serio? È veramente necessario di vedere in lui (per usare un’espressione adoperata in mia presenza) «il prodotto d’un feroce odio contro la scienza, lo spirito e la sensualità», un anatema contro i sensi e lo spirito concentrato in un solo soffio d’odio? Un’apostasia e un voltafaccia verso l’ideale d’un cristianesimo malato e oscurantista? E infine una negazione di sè, una cancellazione di sè, da parte d’un artista che, fin allora, con tutta la potenza della sua volontà, avea lavorato al fine opposto, e cioè alla spiritualizzazione e sensualizzazione suprema dell’arte sua? e non solo della sua arte ma anche della sua vita? Si ricordi con quale entusiasmo Wagner aveva già seguito le orme del filosofo Feuerbach. La parola di Feuerbach, «la sana sensualità», risuonò durante gli anni trenta e quaranta di questo secolo, per Wagner come per molti Tedeschi — si chiamavano la giovine Germania — come