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Pagina:Copernico - Poemetto Astronomico.djvu/57

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( LVI. )


1210Nè che su l’Are dei Maestri antichi
Io ciecamente abbrucci incenso, ed offra
Olocausti servili: il Ciel mi diede
Libero Genio, e franco ingegno, e solo
Della Ragione il sacro Nume adoro.
1215Odimi dunque, e non temer d’inganno.
Minerva è meco, Dio mi parla, e spira.
Quando il Fabro immortal dell’Universo
Vide alfin giunti quei fecondi giorni,
Ch’ei destinato avea ne’suoi Decreti
1220A formar con divin’numeri il Mondo,
Allor dal Nulla, anzi da se, dal suo
Infinito saper, poter supremo
Ei creò gli Elementi, e chiamò in vita
Di mille Enti venturi i primi semi.
1225Volaron d’ogni parte innanzi a Lui
Gli Atomi ubbidienti al divin cenno,
Pronti a vestir le varie forme, pronti
A cangiarle, ma ognor da morte esenti,
Indivisi, invisibili, incorrotti,
1230Come piace a Colui, che può nel Nulla
Tornar le cose, ch’ei formò dal Nulla.
A quei minimi corpi infuse Dio
Un moto pieno di ragione, e senso,


Ma