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114 sopra la città - il campo degli alpini

tutta coperta d’una foresta d’agrumi come le terre siciliane, e di frutteti e di bosco, ed è tutta fontane e sorgenti che prorompono dalla roccia, dentro fondi specchi che sembrano parte artificiali, parte naturali, e rivoli e laghetti. E dovunque trovavamo soldati. Ce n’erano, di que’ figliuoli delle nostre alpi, a ogni laghetto, a ogni fontana, dentro ogni chiostra di piante. C’inoltravamo e li scoprivamo, alla spicciolata, o in numerose comitive. Non una voce per tutta la valle, solo qualche parola ci giungeva agli orecchi al nostro avvicinarci. Altri, in quel giorno di riposo, lavavano le loro robe; altri le loro persone, e dove l’acqua era più fonda, nudi, prendevano il bagno. Il capitano Trivulzio e gli altri ufficiali lanciavano un grido, una burla, chiamavano qualcuno per nome, avvertivano d’affrettarsi per il rancio; e allora tutti s’alzavano, salutavano con festa, in fraternità di guerra.

A lungo restammo in quella valle. Ci sedemmo dentro un gomito di rocce dove sgorga una polla, e c’è un piccolo quadrato di ruderi, forse un sacello dell’isola antica. Ci sedemmo presso la casa d’un contadino sotto un platano gigantesco, tra un cavallo e due mucche. Il fresco vento che viene dal mare, moveva intorno a noi i campi