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228 così parlò zarathustra - parte quarta

mentre gli si stringevano da presso; «ma non vorresti oggi salire su qualche monte alto? L’aria è pura, e si può veder oggi più vasta parte di mondo che non mai per l’innanzi». — «Sì, miei animali», rispose Zarathustra, «saggia cosa voi mi consigliate, e i vostri consigli vengono dal cuore: oggi io voglio salire su qualche monte alto! Ma fate che lassù il miele mi sia a portata di mano, e sia di favo aureo e bianco, buono, fresco come il ghiaccio, veramente miele favo delle api. Giacchè sappiate che lassù io intendo fare il sacrificio del miele».

Quando Zarathustra fu giunto in alto, egli congedò gli animali che l’avevano accompagnato, e si trovò solo: — allora rise di tutto cuore, e guardandosi intorno parlò così: «Sì, fu un’astuzia la mia, il parlar di sacrifici, e del sacrificio del miele; un’astuzia del mio discorso, e invero anche una stoltezza molto utile! Quassù io posso parlar più liberamente che non dinanzi alle caverne ed alle porte degli eremiti,

Ma che sacrificio! Io prodigo ciò che mi fu donato, io prodigo a mille mani; come potrei chiamar ciò un sacrificio?

E quando dissi che desideravo il miele, io non intendevo che esca e dolce vischio, verso cui tendono avidamente la lingua anche i burberi orsi e gli uccelli uggiosi e cattivi!

— La miglior esca di che abbisognano cacciatori e pescatori. Giacchè se il mondo è una cupa foresta d’animali ed un luogo di delizie per tutti i cacciatori selvaggi, a me appare più veramente simile a un mare ricco, senza fondo.

— Un mare ricolmo di pesci variopinti e di crostacei, tale da invogliarsene anche un palato divino, sicchè gli dèi stessi si farebbero di buon grado pescatori e gitterebbero le lor reti; tanto è ricco il mondo di cose bizzarre, piccole e grandi!

Specialmente il mondo degli uomini: ecco: io lancio ora il mio amo dorato e parlo: apriti, o abisso umano!

Apriti e gettami in grembo i tuoi pesci e i tuoi gamberi luccicanti! Con la mia miglior esca oggi voglio adescare i più bizzarri dei pesci umani!

— La mia stessa fortuna io la gitto oltre tutte le distanze e oltre tutti gli spazi, attraverso all’oriente, al meriggio a all’occaso, per vedere se all’amo della mia felicità molti pesci umani non apprenderanno ad abboccare.