Pagina:Così parlò Zarathustra (1915, Fratelli Bocca Editori).djvu/246

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Disoccupato.

E da poco egli aveva lasciato il negromante, quando scorse seduto su la via un coso lungo e nero, magro e pallido in volto: e ne fu turbato. «Ohimè, disse nel suo cuore, ecco qui la tristezza fatta carne; questi in sè tiene del prete: ma che cosa cercano costoro ne’ miei domimi?

Come! Ora soltanto sono sfuggito a quel mago, ed ecco che un altro negromante mi attraversa il cammino.

Sarà qualche stregone, che vive dell’imposizion delle mani; qualche oscuro taumaturgo per la grazia di Dio, qualche unto calunniatore del mondo; possa il diavolo portarlo via!

Ma il diavolo giunge sempre troppo tardi, questo maledetto piede forcuto!».

Così imprecava tra sè Zarathustra, e pensava al modo di passare dinanzi allo sconosciuto con la faccia rivolta altrove; ma non gli venne fatto.

Poi che in quello stesso momento colui che stava seduto lo scorse, e, lieto come per una subita grazia, sorse in piedi e s’avanzò verso Zarathustra.

«Chiunque tu sia, o viandante», gli disse, «aiuta uno che s’è smarrito, che va cercando la strada, un povero vecchio cui facilmente potrebbe incoglier male!

Questo mondo è straniero e remoto per me. Anche sentii urlare le fiere; e colui che avrebbe potuto proteggermi non esiste più.

Io cercava l’ultimo uomo pio, qualche santo, qualche eremita che, solitario nella sua foresta, non avesse per anche appresa la notizia che tutti sanno».

«Che cosa sanno tutti ormai?», chiese Zarathustra: «forse che non vive più il vecchio Dio, in cui gli uomini tutti ebbero fede?».

«Tu l’hai detto», rispose il vecchio, afflitto. «Ed io servii quel vecchio Dio sino alla sua ora estrema.

Ma ora io sono in ozio: non ho padrone e pure non son libero; e non ho un’ora d’allegrezza, se al più non la trovo ne’ miei ricordi.