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248 | così parlò zarathustra - parte quarta |
Salii su questo monte, per poter godere finalmente d’una nuova festa — come si conviene ad un vecchio papa e padre della chiesa: poi che, tu devi sapere, io sono l’ultimo papa: una festa tutta piena de’ pii ricordi delle ore spese nel servizio di Dio.
Ma ora è morto anche lui, il piissimo uomo, il santo anacoreta della foresta, che esaltava incessantemente il suo Dio cantando e pregando.
Venni dunque invano in questi boschi e su questi monti?
Qui il mio cuore si risolse di cercar un altro uomo, il più pio tra quelli che non credono in Dio — di cercar Zarathustra!».
Così parlò il vecchio guardando fissamente colui che gli stava dinanzi; ma Zarathustra gli prese la mano e la considerò a lungo con ammirazione.
«Guarda, guarda, venerabile», disse poi, «che bella mano lunga! Tale dev’essere la mano di chi non altro ha fatto che benedire. Ma ora essa stringe quella di colui che tu cerchi: di Zarathustra.
«Sono io, l’empio Zarathustra, che ti parla: dimmi, v’ha alcuno che sia più empio di me, sì ch’io possa pregarlo d’essermi maestro?».
Così parlò Zarathustra trapassando coi suoi sguardi i pensieri anche più riposti del vecchio papa. Ma questi soggiunse:
«Chi più di ogni altro l’ha amato e posseduto sente anche più profondamente la sua perdita: — guarda, tra me e te non sono io forse ora il più ateo? Ma come potrei rallegrarmi di ciò?».
— «Tu lo servisti fino all’estremo?», gli domandò Zarathustra pensoso, dopo un lungo silenzio «sai tu, come egli morì?
È vero ciò che si dice, che cioè egli sia morto soffocato dalla sua compassione?
— Morto perchè vedendo come l’uomo pendesse dalla croce non potè sopportare che l’amore per lui diventasse l’inferno e la morte della sua creatura?».
Ma il vecchio papa non rispose, e ritorse paurosamente lo sguardo con espressione dolorosa e cupa.
«Non ci pensar più», disse finalmente Zarathustra dopo aver meditato a lungo, mentre guardava ancor sempre fisso il vecchio negli occhi.