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260 così parlò zarathustra - parte quarta


Ne ho di troppo: questa montagna pullula di esseri umani; il mio regno non è più di questo mondo: io ho bisogno di nuove montagne. La mia ombra mi chiama? E che m’importa della mia ombra? Corra essa pure dietro di me! io le sfuggirò».

Così parlò Zarathustra, e prese a correre. Ma colui che gli stava dietro lo seguiva; sicchè in breve correvano in tre: l’uno dietro all’altro, cioè prima il mendicante volontario, poi Zarathustra e da ultimo la sua ombra. Non corsero a lungo così, che Zarathustra riconobbe d’aver fatto una sciocchezza e con una scrollatina di spalle scosse da sè il fastidio e la noia.

«E come!», disse, «non successero forse da che mondo è mondo le cose più strane tra noi vecchi eremiti e santi?

Invero, la mia follìa crebbe alta nei monti! Ora io sento sei paia di gambe di vecchi pazzi trottare dietro di me!

Ma può forse Zarathustra aver timore d’un’ombra? E poi mi sembra, in fin dei conti, che le sue gambe son più lunghe delle mie».

Così parlò Zarathustra ridendo con gli occhi e con tutti i suoi visceri; poi si soffermò e si volse rapidamente — e, vedi caso, per poco non avrebbe rovesciato colei che l’inseguiva, cioè la sua ombra; poichè già tanto gli era da presso e tanto debole era. Ora, poi che l’ebbe considerata coi propri! occhi, Zarathustra ne provò terrore come alla vista d’uno spettro: tanto gli apparve adusta, logora e vecchia quella sua persecutrice.

«Chi sei tu?», chiese egli con veemenza, «che fai tu qui? E perchè ti fai chiamare la mia ombra? Tu non mi piaci».

«Perdonami», rispose l’ombra, «che io sia tale; e se io non ti piaccio, ebbene, Zarathustra! io loderò te il tuo buon gusto.

Io sono un viandante che ho già molto camminato dietro alle tue calcagna; sempre in cammino, ma senza meta, e senza tregua, sicchè potevo essere chiamata, sebbene non fossi, israelita.

E come? Dovrò esser sempre in cammino? Sospinta dal vortice d’ogni vento? cacciata senza posa? Oh terra, per me tu fosti troppo rotonda!

Io mi trovai già su tutte le superficie; simile alla stanca polvere io m’addormentai sugli specchi e sui vetri delle finestre: ogni cosa mi toglie alcunchè, nessuna mi dà nulla, e io divento sottile, — e per poco non rassomiglio ad un’ombra.