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304 così parlò zarathustra - parte quarta


La mia sventura e la mia felicità sono profonde, o strano giorno, ma pure io non sono un Dio, non sono un inferno divino: Profondo è il suo dolore

8.

Il dolore di Dio è più profondo! Tenta di afferrare il dolore d’un Dio, e non già me! Che cosa son io? Una dolce lira inebbriata; — una lira della mezzanotte, una campana delle paludi, che nessuno comprende, ma che deve parlare ai sordi, o uomini superiori! Poi che voi non mi comprendete!

Passaste! O gioventù! O meriggio! O pomeriggio! Ora giungono la sera e la notte e la mezzanotte; urla il cane, e il vento urla: — non è forse il vento un cane? Egli geme, latra, urla. Ah! ah! Come anch’ essa geme! Com’ essa ride, come rantola, come palpita la mezzanotte!

Come parla ora prosaicamente, quell’ebra poetessa! Le riesci forse di esaltare la propria ebrezza? di rendere informe la propria insonnia? O forse essa medita?

— Medita il suo dolore mentre sogna, l’antica profonda mezzanotte, e più anche medita la sua gioja. Poi che la gioja, se pure il dolore è profondo, la gioia è ancor più profonda del dolore.

9.

O ceppo di vite! A che m’ esalti? Non t’ho io forse reciso? Io son crudele, e tu sanguini: — perchè attendi la lode dalla mia ebra crudeltà?

«Tutto ciò che divenne perfetto e maturo vuol morire!». Così tu parli. Sia benedetto il coltello del vendemmiatore. Ma tutto ciò ch’è immaturo vuol vivere, ahimè!

Il dolore dice: «Passa oltre! Fuggi, o dolente!». Ma tutto ciò che soffre vuol vivere, per diventar maturo e gaio e bramoso, — bramoso di alcun che più lontano, più alto, più chiaro. «Voglio avere eredi»: così parla tutto ciò che soffre; «non voglio me solo».