Pagina:Così parlò Zarathustra (1915, Fratelli Bocca Editori).djvu/304

Da Wikisource.

il canto d’ebrezza 305


Ma la gioia non domanda nè eredi nè figli: — la gioja vuole sè stessa, vuole l’eternità, il ritorno, vuole che tutto sia eternamente uguale a sè stessa.

Il dolore dice: «Spezzati, sanguina, o cuore! Cammina, o gamba! Ala, vola! In su! In alto! Dolore! Orsù! Orbene! Oh vecchio mio cuore! Il dolore dice: «Passa oltre!».

10.

O voi, uomini superiori, che ne dite? Sono io forse un indovino? un sognatore? un ebro? un interprete di sogni? una campana della mezzanotte? una goccia di rugiada? un vapore, un effluvio dell’eternità? Non lo udite? Non lo adorate? Da poco il mio mondo divenne perfetto: e la mia mezzanotte è anche il mezzogiorno.

— Il dolore è anche una gioja; la maledizione è anche una benedizione, la notte è ancor essa un sole; andatevene! Altrimenti apprenderete che un savio è anche un pazzo.

Avete mai consentito alla gioja? O miei amici, in tal caso avete consentito anche a tutti i dolori. Tutte le cose sono concatenate, annodate insieme, conserte d’amore tra loro.

— Se mai avete desiderato due volte ciò che fu una volta sola, se mai diceste: «tu mi piaci, felicità! Arrestati momento!», ebbene voi desideraste che tutto ritornasse!

— Se mai avete desiderato un’altra volta, eternamente, il tutto, le stesse cose concatenate, annodate insieme, conserte d’amore tra loro, oh, in tal caso avete amato il mondo — o voi eterni, e l’amate tuttavia e l’amerete in ogni tempo: e anche al dolore voi dite: Passa ma ritorna! Poi che ogni gioja vuol essere eterna!

11.

Ogni gioja vuole l’eternità sempre: vuole il miele, la feccia, l’ebra mezzanotte, i sepolcri e le lagrime di che si confortan le tombe, e i tramonti dorati.