Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/19

Da Wikisource.

I - DI CLEOBOLO 13

il gran numero che perseguita i savi, per seguir le proprie passioni, e che poi si pente per non aver ascoltati i loro precetti. Questa è la storia di tutto il genere umano. Queste terre, che vedrai, son tinte anch’esse del sangue de’ savi e lorde dalle scelleratezze de’ popoli. Quivi, del pari che in Grecia, un popolo ha distrutto l’altro, ed il promontorio Iapigio, che ieri sera lasciammo, è forse piú infame per i delitti de’ suoi abitatori che per le tempeste del mare che lo circonda.

Che giova, dirai, osservar tutto questo? Giova, perché, ritornando nella propria casa, uno possa esser convinto che la legge della natura è una, inesorabile, immutabile; che né luogo, né tempo, né variar di opinioni o di costumi cangia l’ordine eterno, per cui la veritá e la virtú o sono seguite o vendicate. L’uomo diventerá allora o piú felice o pivi paziente. —

Cosí dicendo, ci passavano dinanzi le isole Coreadi, e scoprimmo il porto di Taranto. La città si stendeva ampiamente in giro lungo le sponde del mare, e dove fínivan le mura della cittá, incominciava una serie di case di campagna, che presentavano il pomposo e piú vasto anfiteatro che mai abbia veduto occhio umano. Di giá sul faro si vedeva sventolar la bandiera, che annunziava agli abitanti il prossimo arrivo di un legno ateniese. I marinari, giá desti, libavano a Nettuno e salutavano la terra ospitale; e quei, che giá aveano fatto altre volte tal viaggio, indicavano ai compagni e le torri ed i tempii e le piazzie principali della cittá. Giá si udivano le voci dei cittadini che eran sul molo... Un altro colpo di vento... e siamo nel porto.