Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/214

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annoiare, se sono esposte con molto lunga verbositá; e quindi, per piacere al pubblico, sulle scene alla filosofia ed ai motti succedono l’azione e gli effetti ( 0. Allora il tarantino Rintone (2) ha tentato di esporre sul teatro le piccole passioni dei grandi uomini e le passioni grandi degli uomini piccoli; e quelle sue favole, chiamate prima, dal nome dell’inventore, «rintoniche», migliorate dall’altro tarantino Scira, son divenute tanto comuni tra noi, che chiamansi oggi «italiche» (3). — Io udii, senza mai interromperlo, tutto questo lungo ragionamento di Alesside; ma, quando ebbe finito, non potei trattenermi dal dirgli: — Tu credi dunque che la poesia rappresentativa abbia un corso quasi fatale di vita, e che poco o nulla vagliano i precetti e l’ingegno? — Ed egli: — Sei tu convinto di due veritá? — Di quali? — Una, che il primo precetto per dilettare è quello di conoscer la natura di coloro cui si vuole dar diletto? l’altra, che, tra cento uomini viventi, diciannove formano il secolo, ottanta sono inferiori al secolo, ed uno appena gli è superiore? — Chi potrebbe negarlo? — Or bene, sappi che chiunque imprende a scriver favole rappresentative vuol piacere al popolo e vuole offrirgli tutto ciò che sa di piacergli. Il suo ingegno serve al costume pubblico. Quanto pochi son quelli che saprebbero dominarlo! E questi stessi non sono liberi dalle condizioni che loro impongono i conduttori di coro (4), i quali vogliono gran concorso di spettatori, vogliono empir le loro borse di denaro, e si curan poco che la favola sia o non sia secondo le norme dei sapienti (5). Il solo Platone non basterebbe per certo a costoro invece del popolo intero ( 6 ). (1) Questo pare che sia il carattere della commedia nuova. (2) Stefano e Suida lo dicon tarantino; altri lo crede siracusano. (3) Vedi l’Appendice II. (4I Impresari. (5) Orazio. (6) «Tolte siparium: sufficit mihi uttus Plato prò cuncto populo».