Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. I, 1928 – BEIC 1793340.djvu/218

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poeti in una cittá di geometri? Que’ miei cittadini avrebbero voluto cd operato sempre il giusto, il solo giusto, nulla di piú del giusto. E che ne sarebbe divenuto, allora, di queirammasso di passioni, ora serve, ora tiranne, ora vincitrici, ora oppresse e sempre stolte, le quali formano tutto il bello della poesia? I poeti non sarebbero nati per certo nella mia cittá; e, se mai vi fossero venuti dalle altre, anziché diletto, avrebbero recata noia. Se, per esempio, vi fosse venuto un tragico, i miei cittadini gli avrebbero detto: — O virtuoso, qui siamo anche noi attori di tragedia bellissima. Le repubblica nostra è anch’essa un’imitazione dell’ottima vita; il che noi crediamo esser il soggetto della vera tragedia. Non credere perciò poter esser facilmente ammesso tra noi, poter innalzar scene in mezzo alle nostre piazze, e condurre istrioni, i quali gridino piú alto di noi e rappresentino alle nostre mogli ed ai figli nostri ed a tutta la turba de’ cittadini, non giá le stesse cose che noi rappresentiamo, ma talora diverse e molte volte anche contrarie. Noi non vogliamo impazzire né turbar la cittá. Che se poi tu vorrai rappresentar quelle stesse cose che rappresentiam noi, temiamo, o virtuoso, che ciò ti sia piú facile promettere che eseguire. Noi siamo autori di tutto ciò che facciamo, e tu non sei che un imitatore. Ora è ben difficile che la imitazione possa eguagliare la veritá; ed è da temersi che, discostandoti a poco a poco e quasi insensibilmente da’ tuoi modelli, tu rappresenterai un giorno cose tutte diverse e corromperai gli animi de’ cittadini con quella falsa specie di diletto, che nasce dalla imitazione e talora vince lo stesso diletto che vien dalla veritá. Vedi tit, o buon uomo, questa cittá nostra? Affinché ciascuno faccia sempre bene ciò che deve fare, noi abbiamo stabilito per legge che nessuno possa far due cose. Tu, al contrario, per quell’ingegno che ti han dato gl’ iddi i, sai tutte imitar le tante cose che si fanno dagli uomini; e per tal modo, facendo molte cose al tempo istesso, distruggeresti la piú santa delle nostre leggi, quella che piú necessaria riputiamo alla virtú de’ nostri concittadini, alla prosperitá della cittá nostra. Ti preghiamo, dunque, o figlio delle sante muse, ad accettar da noi questa