Pagina:Cuoco, Vincenzo – Platone in Italia, Vol. II, 1924 – BEIC 1793959.djvu/159

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era altro che una mensa ú); le offerte agl’iddíi non eran che latte, frutti della terra e pane; e la religione vietava dipingere o scolpire gl’iddíi sotto forme mortali W. Non vedi tu tre precetti i quali si conservano anche oggi ne’ musei de’ pittagorici? Negli antichissimi tempi di Numa non si offrivano agl’iddíi le fave. Chi sa perché? Quindi, presso il volgo, il divieto di mangiarne. Ma tu crederesti che in Roma, per confessione degli stessi legati, alcuni sacerdoti non possono mangiarne neanche oggi? E quali sono questi sacerdoti? Quelli che appunto si reputano i piú antichi. Ed a questi stessi è vietato mangiar carne, o almeno alcune specie di carni; è vietato il giurare, il portar anelli coll’immagine della divinitá... (3). Insomma non vi è cosa detta da Numa, la quale non si ritrovi tra i proverbi attribuiti a Pittagora; nulla detto da Pittagora, che non sia stato attribuito anche a Numa. Ponzio mi ha detto esistere anche oggi in Roma molti libri scritti da Numa sulle leggi e sulla religione. Ma il senato ne custodisce gelosamente il segreto, perché conosce la religione di oggi non esser piú quella di Numa, ed il nome di questo sommo uomo poter destare negli animi del popolo desiderio di qualche riforma, sempre pericolosa (4), — Questo è un gran segreto della repubblica — mi han detto i legati. Io insisteva per sapere se i libri esistessero o non esistessero, ma essi mi han sempre replicato: — Questo è un segreto, al pari del vero nome di Roma. — Che? La cittá vostra non si chiama Roma? — Cosí la chiamiam tutti: vi è però un altro nome arcano, eh’è il vero, ma che nessun osa pronunziare, perché chi lo pronunzia è morto (s). — Per Ercole ! io non so cotesto nome. Gl’iddíi mi liberino dal pericolo di saperlo! Ma per i libri, se (1) Macrobio, Saturnali , ni. (2) Tbrrasson, ubi supra . (3) Frammenta veteris hisloriae ; Plutarco, Quaestiones / tornano *. (4) Plinio, xiii, narra che una copia di questi libri si ritrovò nel campo di un tal Gneo Terenzio, ed il senato la fece bruciare. Plinio attesta che eran libri pittagorici. (5) Macrobio, Saturnali , III; Plutarco, j Quaestioms Romana *.