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XLVI

Di Cleobolo a Platone

[Mnesilla — Amore di Cleobolo per lei — Loro colloquio.]

Ove sono, o mio amico, i primi giorni nei quali io conobbi ed amai Mnesilla? Come in un punto tutto è cangiato ! Prima il mio cuore era contento di vederla, di udirla; ed io dimandava a me stesso : — Che altro mai posson gl’ iddíi aggiugnere alla felicitá di un mortale? — La sua immagine era sempre presente a me, ma come l’immagine di una dea, che io temeva di offendere con qualunque affetto il quale fosse altro che ammirazione. E se avveniva che nei silenzi della notte essa sorgesse desiata tra i piú cari pensieri de’ miei sogni, mi porgeva la mano, non come amante, ma come amica, ed io sentiva il suo respiro fresco quanto l’aura della mattina che ravviva il fiore languente, e molto piu puro. Quante volte io mi son lagnato di quella pietosa e crudele natura, che ci ha dati i sensi per istrumenti di piaceri e ci ha imposto il bisogno indispensabile de’ sensi per toglierci de’ piaceri la parte piú pura e migliore! Quante volte ho detto a me stesso: — Perché abbiam noi bisogno della lingua, degli occhi? L’anima mia e quella di Mnesilla perché non potrebbero intendersi, amarsi, riunirsi per sempre, compenetrarsi, formarne una sola? — Deliziose illusioni, come siete mai svanite! Io ho incominciato a provare un nuovo bisogno: quello di esser amato da Mnesilla. Che cosa è mai l’amore? E quanto è vero ch’egli