Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/183

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Essa né deve analizzare le cagioni de’ mali né incaricarsi de’ rimedi. Ma tostocché si hanno in mira questi due oggetti, non s’intende come si possano conseguire senza storia, la quale sola può farci ben conoscere lo stato attuale delle cose ed insegnarci ciò che convenga fare per migliorarlo. Per conoscer bene lo stato attuale, non basta sapere qual esso sia: siccome nulla è permanente di quanto è sotto il sole, cosí quello stato si dirá «prospero», il quale, sia pur quanto si voglia picciolo, progredisce verso l’aumento; quello si dirá cattivo, il quale, sia pur quanto si voglia grande, va verso la diminuzione. La sola storia riunita alla statistica può darci questo paragone tanto necessario tra ciò che è stato e ciò che è; la sola storia, descrivendoci l’azione simultanea di tutte le nazioni che hanno influito sulla felicitá nazionale, può insegnarci a calcolare l’influenza di ciascuna; la sola storia, mostrandoci ciò che si faceva quando si faceva bene, può insegnarci a non far male. Senza saper quello che si è fatto, di rado si può sapere ciò che si ha a fare. Quando la storia applicata all’industria nazionale fosse inutile a tutto il rimanente dell’Europa, non lo sarebbe per noi. La terra che abitiamo è antica; i popoli che l’han coltivata sono grandi ; né della loro grandezza è pervenuta a noi una fama incerta ed oscura come dell’Etruria e dell’Egitto, nomi grandi per l’ammirazione de’ posteri, inutili per la nostra istruzione; ma ne son pervenute a noi le memorie di ciò che facevano, ed esistono gli avanzi di ciò che han fatto. Gli antichi coltivarono in queste nostre regioni quasi settanta specie di viti e ne traevano quasi altrettante specie di squisiti vini. Molti di questi sono rimasti quasi illustri nomi di mitologia. Tale si può dir che sia il falerno: la regione che lo produceva non dá ora, siccome dice Metastasio, che «vino da galeotti». Pure la vite «aminea» in quella regione esiste ancora: io l’ho riconosciuta quale la descrive Plinio, ed il vino di questa vite, fatto con cura e serbato per qualche anno, ha molto dell’«austero» e del «flavo» di quel vino a cui doveva gran parte del suo estro il poeta filosofo di Venosa. Sarebbe utilissimo sulle nostre viti un lavoro eguale a quello che il signor