Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/277

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Credi che tema il pericolo? Se temesse veramente il pericolo, si affaticherebbe a superarlo. Il pericolo non si vince temendolo, a meno che l’estremo del timore non ispiri l’estremo del coraggio. Che teme egli dunque? Teme la fatica che ci vuole per superare il pericolo».—Vedere anche il numero seguente. LXXV. — Sulla medaglia ordinata da Sua Maestd in memoria della distribuzione delle bandiere delle legioni provinciali (n. 357, 11 aprile 1809). «Il governo di Persia avea i suoi premi. Quel governo era piú giusto e piú umano di quello che la rivalitá ed i pregiudizi degli scrittori greci vorrebbero farcelo credere. Ma i premi persiani poco influirono a formar lo spirito nazionale, perché erano sempre individuali. — Piú commoveva l’aver meritata una corona di olivastro nelle pianure di Elea alla presenza di un mezzo milione di spettatori tutti applaudenti; e, per una corona di olivastro, per esser rammentato nel giorno sacro alla memoria de’ morti in Maratona, che non facevano i greci? Ma essi non trasportarono mai gli onori dal fòro alla casa. Pareva che tutte le memorie delle loro grandi azioni dovessero esser momentanee. Un costume comune a tutti gli Stati greci vietava finanche eriger monumenti durevoli delle loro vittorie. E la loro storia rassomiglia al loro costume: brilla come un lampo, a cui precede e segue la notte. — I romani, meglio di tutte le altre nazioni antiche, hanno intesa l’arte de’ premi di onore: quindi il valore e l’amor della gloria in nessun’altra regione dell’ Europa ha avuta vita tanto lunga quanto in Roma. Feste pubbliche al pari dei greci; ma l’onore passava, dalla curia, dal campo, dal fòro, nel seno della famiglia. Il soldato riportava ai suoi cari la corona o la medaglia che avea meritata. La mostrava ogni giorno ai suoi amici, la mostrava ogni giorno ai suoi figli. Quelli non l’aveano ottenuta ancora, ma giá la emulavano; né era per essi emulazione di cosa raccontata o letta, che sempre è debole e lontana: era invidia di cosa vicina, presente, eh’è sempre vivissima. Questi non ancora forse ne comprendevano il pregio, e giá la desideravano». LXXVI. — Sul reai decreto del di 4 aprile, con cui è stata istituita la commissione di correzione per gli errori introdotti nella fondiaria del Regno (n 360, 21 aprile 1809). LXXVII. — Abolizione del Santo Ufizio e del tribunale della Inquisizione in Roma (n. 386, 22 luglio 1809). «Roma è stata la gloria e il flagello dell’ Italia. Indisputabilmente glorioso è, in effetto, l’aver dominato tutta la terra conosciuta, una volta colle armi e un’altra colle opinioni. Ma, mentre è strano che il primo di