Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari- Periodo napoletano, 1924 – BEIC 1796200.djvu/283

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XCIX.— Saggio storico per servire di studio alle rivoluzioni politiche e civili del Regno di Napoli, di Giuseppe Maria Arrighi, Napoli, stamperia del Monitore (n. 102, 30 maggio 1811). Nessun altro Regno d’Europa ha sofferto tanti cangiamenti di domini. Nessun altro «ha avuti tanto stretti rapporti con quella potenza che avea sostituita alla forza delle armi dell’antica Roma una forza di opinione piú potente delle armi medesime»; con quella potenza «di cui si è detto tanto bene e tanto male, ma che insomma, or bene or male, è stata il cardine intorno al quale si sono aggirati per molti secoli tutti gli affari dell’Europa. Tutte queste circostanze politiche han prodotto nella storia di questo Regno de’ fenomeni singolari. In nessun’altra parte dell’ Europa il caos dell’anarchia feudale ha prima ricevuto ordini regolari, e in nessun’altra parte si sono, prima del Regno di Napoli, conosciuti e stabiliti i principi della monarchia temperata. Le costituzioni di Ruggiero e di Federico secondo non sono state imitate dalle altre nazioni che quattro secoli dopo. Qui le scienze sono risorte prima che altrove». Il Petrarca e il Boccaccio «in questo Regno hanno avuto e la fama e la protezione e l’ozio necessari o a cantare i trionfi di Scipione o a narrare le ipocrisie de’ frati e le astuzie delle belle. Le stesse belle arti son vissute qui contemporaneamente che a Firenze»: il campanile di Santa Chiara «precede per etá forse tutti i monumenti dell’architettura moderna e non cede a nessuno per merito. Ma i troppo frequenti cambiamenti politici hanno in ogni secolo ritardato que’ progressi a’ quali il naturale ingegno spingeva gli abitanti. Il nostro dialetto pugliese è stato il primo tra’ dialetti d’Italia a scriversi in versi e, ciò che è piú importante, anche in prosa. Perchè non è divenuto il dialetto dominante dell’Italia? Perché la dinastia sveva fu distrutta. I nostri re sono stati qualche volta i piú potenti re dell’ Europa; ma la loro potenza è svanita colla loro discendenza, ed il Regno è ricaduto nel languore. Chi potrebbe senza noia dir tutte le osservazioni che la nostra storia presenta»? La conseguenza, per altro, sará sempre questa: che non c’è storia piú utile della nostra a mostrare i rapporti intercedenti «tra le rivoluzioni politiche de’ governi ed il corso della morale, delle scienze e della civiltá de’ popoli».

C. — Viaggio a Pompei, a Pesto e di ritorno ad Ercolano , dell’abate Domenico Romanelli, Napoli, Perger, 1811 (nn. 153 e 154, 29 e 30 luglio 1811).

L’autore ha aggiunto un piccolo saggio della storia di Pesto. Sennonché la storia che noi conosciamo di quella cittá da qual epoca incomincia? «Noi sappiamo che Pesto fu vinta da’ romani; prima era stata vinta e signoreggiata da’ lucani ; prima de’ lucani era stata abitata da’ sibariti ; e prima de’ sibariti? Giá Sibari tocca l’epoca della favola». Ma (conchiude il Cuoco,