Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/305

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venissero. Kant ci dice: — È una forma della nostra mente. — Kant dunque non disputa con noi: è inutile confutarlo. Egli vuole spiegare una cosa che noi non sappiamo: vediamo come la spiega. Ci dice: — È una forma intrinseca della nostra mente. — Sará: chi potrebbe contrastarglielo? Ma egli sa questa forma?

No: dunque finora ci parla di una qualitá occulta: convien che ci dica qualche cosa dippiú. Può egli saperne? No. Dunque è inutile di piú attenderci. Kant dunque non ha detto nulla.

Un travaglio di tale natura sarebbe forsi la parte piú interessante dell’ideologia. Esso sarebbe necessario in quella parte delle nostre cognizioni astratte che formano le scienze morali, le quali cosí si potrebbero spingere- all’evidenza delle matematiche. Che hanno infatti dippiú i matematici? Le idee sono egualmente astratte; ma essi hanno il segreto d’intendersi tra loro. Noi avressimo cosí quel libro che desiderava Montesquieu, e che in dodici pagine contenesse tutto ciò che gli uomini sanno in legislazione, in morale, in politica. Le teorie potrebbero diventare piú popolari, e, divenendo piú certe, o presto o tardi diventerebbero piú efficaci, perché poi gli uomini non resistono lungamente contro la forza di quello che credono infallibilmente vero.

Ma, per giugnere a questo oggetto, sarebbe necessario formare una lingua filosofica, un dizionario universale delle nostre idee. Questo forsi era e l’oggetto e l’uso di quella parte delle nostre cognizioni che i scolastici chiamavano «ontologia»; di cui essi abusavano, perché, non sapendo altro, la credevano la scienza delle cose; che noi disprezziamo, perché essi ne han troppo abusato; ma che potrebbe tuttavia divenire una parte interessante delle nostre cognizioni. Noi, per usar il linguaggio di Bacone è di Vico, abbiamo due. specie di cognizioni: quelle che sono di mezzi e quelle di fine. Il confonder quelle con queste è un errore, ma è un errore eguale quello di trascurarle. Ma, per giugnere a questo inventario, è necessario, prima di tutto, stabilire un criterio di ciò che si sa per distinguerlo da quello che o non si sa o non si può sapere: a buon conto.