Pagina:Cuoco - Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, Laterza, 1913.djvu/101

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xvi - stato della nazione napolitana 91


Le disgrazie de’ popoli sono spesso le piú evidenti dimostrazioni delle piú utili veritá. Non si può mai giovare alla patria se non si ama, e non si può mai amare la patria se non si stima la nazione. Non può mai esser libero quel popolo in cui la parte che per la superioritá della sua ragione è destinata dalla natura a governarlo, sia coll’autoritá sia cogli esempi, ha venduta la sua opinione ad una nazione straniera: tutta la nazione ha perduta allora la metá della sua indipendenza. Il maggior numero rimane senza massime da seguire, gli ambiziosi ne profittano, la rivoluzione degenera in guerra civile, ed allora tanto gli ambiziosi che cedono sempre con guadagno, quanto i savi che scelgono sempre i minori tra i mali, e gl’indifferenti i quali non calcolano che sul bisogno del momento, si riuniscono a ricever la legge da una potenza esterna, la quale non manca mai di profittare di simili torbidi o per se stessa o per ristabilire il re discacciato.

Quell’amore di patria, che nasce dalla pubblica educazione e che genera l’orgoglio nazionale, è quello che solo ha fatto reggere la Francia, ad onta di tutt’i mali che per la sua rivoluzione ha sofferti, ad onta di tutta l’Europa collegata contro di lei: mille francesi si avrebbero di nuovo eletto un re, ma non vi è nessuno

    gentile: se non lo è divenuto, è colpa de’ nostri, che lo hanno abbandonato per seguire il toscano. Noi ammiriamo le maniere degli esteri, senza riflettere che questa ammirazione appunto ha recato pregiudizio alle nostre: esse sarebbero state eguali, e forse superiori a quelle degli esteri, se le avremmo coltivate. Una nazione che si sviluppa da sé acquista una civiltá eguale in tutte le sue parti, e la coltura diventa un bene generale della nazione. Cosí in Atene la femminuccia parlava colla stessa eleganza di Teofrasto ed il ciabattino giudicava Demostene. Ammirando ed imitando le nazioni straniere, né si coltivano tutti gli uomini che compongono un popolo, né si coltivano bene: non tutti, perché non tutti possono vedere ed imitare gli esteri; non bene, perché l’imitatore, per eterna legge della natura, resta sempre al disotto del suo modello. La coltura straniera porta in una nazione divisioni e non uniformitá, e quindi non si acquista che a spese della forza. Quali sono oggi le nazioni preponderanti in Europa? Quelle che non solo non imitano, ma disprezzano le altre. E noi volevamo far la repubblica indipendente incominciando dal disprezzare la nostra nazione!
       N.B. — A scanso di ogni equivoco, questa nota, poco piú poco meno, vale per tutta l’Italia.