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108 | Cuore infermo |
Tutta la parte nuova della casa mostrava adesso una impronta, un carattere speciale. Era ornata, mobigliata con un lusso grandioso, calmo e sicuro. Nulla di troppo splendido, di troppo appariscente, di troppo nuovo che la facesse rassomigliare alla casa di un borghese arricchito, che ha la smania di gettare il suo denaro in faccia ai suoi visitatori. Tutto era a grandi linee, di una eleganza quieta, la stoffa ricca, il colore appannato, l’armonia conquistata a forza di gusto. Niente fiammeggiava o crepitava, tutto si riposava nel proprio benessere, a suo agio. Nessuna di quelle bizzarrie costose che la moda impone e che durano soli sei mesi; vale a dire, esclusi gli apocrifi salotti moreschi, le piccole Pompei in miniatura, le contraffazioni delle sale orientali, le copie impallidite e barocche dei barocchi saloni di Luigi decimoquinto, che sono il segno di una fantasia morbosamente scontenta, meschina e gretta, che preferisce la fotografia senza colori alla grande arte. La casa Sangiorgio aveva i suoi saloni messi con uno stile puro, che ingrandiva, ampliava la piccolezza vezzosa del gusto moderno.
Ebbene, si comprendeva che fosse stata la duchessa Beatrice a creare intorno a sè tutto questo. La sua alta persona aveva bisogno, per complemento, di quei grandi saloni, di quegli specchi immensi dove si potesse veder tutta; il suo corpo statuario dovea disdegnare le mollezze degli angoli rotondi dei divanetti, gli arrovesciamenti voluttuosi delle poltrone; dove appariva la sua classica figura, non poteva sussistere l’arte fragile, piccina, minuta, che inonda di statuine, di puttini, di amorini, di animaletti gli scaffali delle sale eleganti; la sua fiorente gioventù non poteva chiudersi in quei salotti troppo intimi, troppo profumati, dall’atmosfera viziata; alla sua bellezza essa aveva scelta la più adatta cornice. Ella