Pagina:Cuore infermo.djvu/289

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Parte sesta 289

— Sì, debbo andarvi; ma non me ne parlare; non ti lascio così.

— Così? Come se fossi ammalata! Mi è passato ora; mi sento bene. È stato proprio un capogiro, una cosa passeggera. Non vedi che sto bene?

— Non lo vedo...

— Ma sì, te lo assicuro. Che pauroso! Sai che spaventeresti anche me? Se non mi sentissi meglio, la tua ciera sgomentata mi darebbe un altro capogiro. Ma sto benissimo...

— Gli è che temo anche d’un soffio, Beatrice... — rispose lui, quasi convinto. — Devi badare alla tua salute.

— Oh! il medico grave, il dottore severo! Ma sì, ma sì, vi baderò. Anzi, sai che cosa farò? Mentre tu vai da papà, io mi gitterò sul letto, a dormire un poco; al ritorno mi ritrovi sveglia e forte.

— E se avrai bisogno di qualche cosa?

— Vi è Giovannina; ma non la chiamerò neppure.

— Dormirai?

— Dormirò — rispose lei, col sorriso crocifisso sulle labbra.

— Già, io torno presto; ma voglio trovarti bene, core mio.

— Te lo prometto, anzi stasera andremo al San Carlo

— Dunque, vado via. Forse hai veramente bisogno di riposo. Mi dài un bacio?

Lei si chinò a baciarlo lievemente, con la punta delle labbra, un bacio di bambino. Invece lui la prese fra le braccia, per baciarla.

— Come palpita il tuo cuore, Beatrice!

— È sempre così quando tu mi abbracci, Marcello — diss’ella, con uno sforzo eroico.