Pagina:Cuore infermo.djvu/315

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Parte sesta 315

che le pulsazioni ora rapidissime, ora languide e deficienti, del cuore di Beatrice.

— Che ha il tuo cuore?

— Ti ama — diceva ella semplicemente, accennandogli di tacere.

— Il tuo cuore s’ammala, Beatrice — insisteva egli.

— Ti ama, ti ama.

Questa domanda ripetuta, questo ricordo continuo che sorgeva fra loro, questo palpito che alzava la sua voce nel silenzio, era l’ombra lugubre, il nero precipizio dove rotolavano col loro tragico amore. Ed invero, in certi momenti, sul volto di Beatrice si vedeva la contrazione spasmodica di un’agonia, gli occhi che si sbarrano, il profilo che si evade, si affina, la bocca che si contorce senza mandar suono, il lieve sudore che bagna i capellucci delle tempia.

— Parlami, per pietà, tu fai paura! — gridava Marcello.

— Che paura, che paura! — esclamava ella, con un supremo sforzo, quasi ritornando per amor di lui nella vita.

Una notte, egli aveva vegliato molto tardi in camera sua. Per qualche tempo aveva scambiato, per la porta aperta, una parola con Beatrice, poi ella era venuta, lo aveva abbracciato per la buona notte ed era andata a letto. Egli continuava a scrivere, ma una vaga inquietudine lo dominava; due volte si alzò e andò nella camera di Beatrice a vedere s’ella dormisse bene. Non dormiva bene, no; dormiva e respirava affannosamente, rialzata un po’ sui cuscini, mentre un grande sospiro le sollevava ogni tanto il petto. Non osò risvegliarla e rimase qualche tempo là, a contemplarla, quasi confitto al suolo da una forza possente.

— Beatrice mia, Beatrice mia — ripeteva fra sè, preso