Pagina:D'Annunzio - Canti della guerra latina, 1939.djvu/196

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115Nei valichi dello Stelvio, nei passi del Tonale,
nella roccia d’Ercavallo che l’ascia trionfale
tagliò come ceppo d’abeto,
nel lene argento del Garda, nel rame della Zugna,
nella Vallarsa ricinta d’arci che il sole espugna
120per baciar laggiù Rovereto;
 
e tra l’Astico e il Rio Freddo, di girone in girone,
negli inferni statuarii del Cengio e del Cimone,
che sono i fratelli del Grappa,
essi cantano con calde bocche, riavvampati
125da un sangue repente; e vanno, s’accrescono, soldati
della luce, di tappa in tappa.
 
Chi è con loro? Chi viene, riavvampato anch’esso
di gioventù sovrumana, come aveva promesso?
«Ch’io venga anche all’ultima guerra!
130Legatemi al mio cavallo. Ma ch’io veda la stella
d’Italia su la Verruca! Cinghiatemi alla sella.
Ma ch’io venga all’ultima guerra!»
 
Giovine, giovine come nell’estancia, a Maromba,
alla Barra, al Cerro, al Salto, come quando la tromba
135dal Vascello e dalla Corsina
sonò su Roma serva slargando col selvaggio
squillo gli archi di trionfo troppo angusti al passaggio
della nova gloria latina,