Pagina:D'Annunzio - L'Isottèo-La Chimera, Milano, Treves, 1906.djvu/25

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Io dissi: — Non mi giova la fortuna,
o madonna Isaotta, ne ’l trovare. —
Ed ella a me: — Non ha virtude alcuna
il fino Amore per v’illuminare?
Il grappolo tardìo dove s’aduna
da lungo tempo, come in alveare,
la dolcezza de ’l miele a ’l lento foco
de ’l sole, aspetta noi per qualche loco. —
Io dissi: — Non mi stanco di cercare. —

Noi camminammo giù per la vermiglia
china che discendeva a l’acque d’oro.
Da lungi a quando a quando una famiglia
di villici sorgendo da ’l lavoro
ci guardava con alta maraviglia;
e le fanciulle interrompeano il coro.
Venendo innanzi con giulivo ardire
una gridò: — Che mai cerchi, o bel sire? —
Ed io risposi a lei: — Cerco un tesoro. —

Noi così camminammo: ella men lesta,
poi che non concedeami anco la mano.
In guardare tenea china la testa,
bella come la bella Blanzesmano
allor che cavalcò per la foresta
a fianco a ’l suo Lancialotto sovrano.
Le fronde sotto i pie’ stridevan forte;
ma a quelle viti ignude aspre e contorte
li occhi chiedevan la dolce esca in vano.