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notturno 137


E un lavoro atroce di martello sopra un silenzio che resiste.

Un colpo, un altro colpo, un altro colpo ancóra.

La massa formidabile è in piedi. Il colosso fuso è di nuovo umanato dal suo urlo.

Mi pare d’aver patito anche allora quest’arsione volontaria. Ero come voltato e rivoltato nel fuoco acceso da me stesso. Ero come il tizzo dei mito d’Etolia. E quando la mia madre mi riporrà nel suo focolare per consumarmi?

Anche allora soffrivo la sete. Avevo voglia d’inginocchiarmi contro le tazze delle fontane di Roma per dissetarmi con tutta la faccia.

Ora perché non mi lasciate bere un sorso freddo?

Allora il caso mi dava talvolta il modo inaspettato di placare la mia febbre.

Quella sera, nell’uscire dal teatro rovente, vidi nel cielo nuvole rossa-