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Per settimane e settimane hanno condannato il mio corpo al sudore angoscioso, l’hanno disseccato, l’hanno assetato, vena per vena, fibra per fibra.

Soffrivo la siccità come certe plaghe della campagna romana quando il suolo si fende ed esala la febbre.

La mia bocca sempre aperta era come uno di quei crepacci, dura e secca come una terra vulcanica. Inasprita dal sapore metallico dell’iodio, senza più qualità umana, vera fauce della desolazione, che pareva screpolarsi dolorosamente a ogni sforzo della gola contratta per inumidirla.

Il sangue ispessito, carico di tossici, ingombrava il cuore che s’affannava a respingerlo con uno sgomento mortale.

Percepivo lo splendore bianco del-