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amici più devoti di Giuseppe Miraglia, il suo maestro d’aviazione, se bene più giovine di lui. Ci guardiamo, e non sappiamo frenare il pianto. Piangiamo, stringendoci.

Poi le parole rotte, la spiegazione della catastrofe, la discussione tecnica, i particolari nuovi, le scoperte; e gli sguardi muti che toccano il fondo dell’anima.

Due marinai portano la mia corona di rose bianche e rosse. La pongo presso il suo capo. Pongo anche presso la sua guancia destra (quella che è pesta) il mazzo di Renata.

Il tempo passa, nel medesimo orrore. Vado a guardare il viso di Giorgio. È cereo ma tranquillo. Una profonda pace lo beatifica.

È notte. Esco. Torno a casa per la fondamenta di Sant’Anna, a piedi.

La luna è già alta, dietro il tetto dei dieci camini. Fa freddo, un freddo secco. La via Garibaldi è piena di popolo. A ogni momento ho un’al-