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334 l’eroe.


Disse Mattalà:

‟Una!... Dua!... Trea!...”

Concordemente, li uomini fecero lo sforzo per sollevare la statua di su l’altare. Ma il peso era soverchiante: la statua barcollò a sinistra. Li uomini non avevan potuto ancora bene accomodare le mani in torno alla base per prendere. Si curvavano tentando di resistere. Biagio di Clisci e Giovanni Curo, meno abili, lasciarono andare. La statua piegò tutta da una parte, con violenza. L’Ummálido gittò un grido.

‟Abbada! Abbada!” vociferavano in torno, vedendo pericolare il patrono. Dalla piazza veniva un frastuono grandissimo che copriva le voci.

L’Ummálido era caduto in ginocchio; e la sua mano destra era rimasta sotto il bronzo. Così, in ginocchio, egli teneva li occhi fissi alla mano che non poteva liberare, due occhi larghi, pieni di terrore e di dolore; ma non gridava più. Alcune gocce di sangue rigavano l’altare.

I compagni, tutt’insieme, fecero forza un’altra volta per sollevare il peso. L’operazione era difficile. L’Ummálido, nello spasimo, torceva la bocca. Le femmine spettatrici rabbrividivano.

Finalmente la statua fu sollevata; e l’Ummálido ritrasse la mano schiacciata e sanguinolenta che non aveva più forma.