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san làimo navigatore. 351

schezza dell’erbe con le calcagna use alla sabbia torrida, mentre le sue pupille fastidite dal candor salino si riposavano nel verde.

Una dolce deità di pace ora felicitava la selva: da un albero all’altro saglienti si comunicavano i cantici, s’aprivano a piè dei tronchi famiglie di fiori versando aromi, e in alto tra li intervalli stellanti delle fronde fioriva anche il cielo. Tutte le creature in quel rifugio esercitavano liberalmente la vita. Il suono de’ passi tranquilli su i muschi meravigliava nell’animo l’uomo; il quale così procedendo per mezzo a quella mansuetudine di amori si sentiva come da una pia unzione di balsamo lenire la fatica delle membra e purificare.

Ma quando giunse egli al centro della selva; un miracolo gli si offerse alli occhi. Giaceva su la natural cuna dell’erbe un infante e sorrideva, teneramente luminoso, in una forma tra di essere umano candidissima e di fiore. Le carni si piegavano in anella rosee ai polsi, ai malleoli, alla nuca; e i piedi terminavano in quelle vaghe arborescenze di cui li antichi artefici ornarono le statue di Dafne cangiata in lauro. Li arbusti aromatici facevano in torno al nato una musica d’orezzo, soave come il murmure delle prime api nella stagione del miele.

Il pescatore, attonito, ristette. D’improvviso un