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Pagina:D'Annunzio - San Pantaleone, 1886.pdf/366

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358 san làimo navigatore.

in un vasto anfiteatro di granito appariva splendidissimo, e su le acque più di tremila squali battagliavano.

Era un magnifico spettacolo. Dall’alto del promontorio il fanciullo seguiva con l’occhio tutte le vicende della strage illustrata pienamente dalla luce solare.

I pesci, enormi chimere d’acqua salsa, violacei e verdi nel dorso, biancastri nel ventre, armati di scudi ossei e d’un gran dente di narvalo, formavano cumuli mobilissimi emergenti crollanti risollevantisi con una rapidità indescrivibile. Il balenío delle lunghe spade d’avorio, il luccichío dei corpi oleosi, li sprazzi d’iride nelle scaglie delle code, lo spumeggiamento immenso dell’acque, tutto quel cieco furore di ferite, quell’odore acuto di grasso e di sangue eccitavano il fanciullo.

I cadaveri, galleggianti co ’l ventre riverso dentro cui l’avversario avea lasciato l’arma, erano sbattuti dall’onda contro le pareti di granito. Squali, con la mascella rotta e priva del dente, uscivano dal folto della zuffa e dibattendosi nelle scosse ultime della morte cangiavano i colori. Frammenti d’avorio nel cozzo erano lanciati a grandi altezze per l’aria. Avvenivano talvolta meravigliosi intrecciamenti su la vetta dei cumuli. Talvolta