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Pagina:D'Annunzio - San Pantaleone, 1886.pdf/365

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san làimo navigatore. 357


Làimo non amò cavalli, nè falchi, nè cani. Egli fu esperto nel trar d’arco più che un saettatore parto; e pure giammai freccia d’argento della sua faretra ferì tra li alberi una preda. Ma i grandi combattimenti epici delli squali nel golfo, al tempo delli amori, l’attraevano. E come gli giungeva pe ’l silenzio meridiano il fragore, egli balzava di gioia; e, preso l’arco, pianamente, non visto da alcuno, scendeva giù per una corda di palmizio nel parco e attraversava la selva fino al promontorio.

Due querci, simili a monumenti titanici dell’epoca favolosa, componevano una porta di trionfo alta duecento piedi. Il sole illustrava di candori argentei le scorze centenarie; e di là dalla porta i laberinti della foresta si inabissavano nell’ombra.

Il fanciullo su ’l limitare sostava, rapito nella grandezza e nella dolcezza della solitudine. Poi, come il fragore lontano lo riscoteva, egli, con una agilità di veltro dietro un branco di lepri, insinuavasi tra fusto e fusto, strisciava tra le erbe altissime, saliva scalee fatte di radici, saltava ostacoli di arbusti, piegava sotto i rami pesanti. Il fragore del combattimento si faceva a mano a mano più vicino e più terribile. D’un tratto il mare chiuso