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356 | san làimo navigatore. |
lungo presso il fanciullo, coricata a piè della cuna; si cibava di fogliami teneri, di funghi, di fromento, e beveva in un vaso di murra linfe pure. Al suo bramito tremulo e dolce, una gioia di movimenti vivaci animava le membra del poppante, e il piccolo anello delle labbra si schiudeva spontaneamente nel riso.
Con una prodigiosa rapidità ascese Làimo dall’infanzia alla puerizia. Egli ebbe la testa di un dioscuro tutta nera di ricci simili a grappoli di giacinti. Nel suo corpo rifulse la bellezza di un giovane Bacco, l’armonioso componimento di una statua fidiaca. Il torso era una viva opera di cesello, poichè le coste si palesavano sotto la forma nascente del torace; il gioco dei bicipiti nelle braccia perfette come quelle dell’Antinoo incideva su le spalle talune lievi cavità mobilissime; le reni si insertavano ai lombi con un’inflessione serpentina di gimnaste; le musculature delle gambe avevano la lunghezza agile di disegno d’un efebo ateniese; ai malleoli si collegavano piedi schietti e nervosi di atleta corridore, terminanti in dita simili a un gruppo di radici tenui; tutta la persona gioiva nell’equilibrio della grazia e della forza, con mollezze di cera ricoprenti fieri congegni di acciaio.
Così l’effigiò, in una lega di metalli nobili, un artefice del quale ignoriamo la patria e il nome.