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san làimo navigatore. | 355 |
grosse come una testa d’uomo; mille giovenchi furono colpiti in un giorno, e fumigarono su le brage; furono sgozzati settecento porci enormi come rinoceronti ma di carni più tenere che la coscia d’un agnello; cacciagioni e pescagioni furono prodigate su vastissimi piatti d’oro, e dal ventre dei volatili e dei pesci uscirono gemme, anelli, gioielli, monete insieme con l’uva di Corinto, co’ i pistacchi d’Italia, con le noci, con le olive. Su ’l golfo arsero fuochi di legni odoriferi, e faci illuminanti per gran tratto il mare, così che galee veneziane e saettie di corsali barbareschi da lungi videro il rossore, e novellarono dell’incendio di una città favolosa. Il vapore delle gomme balsamiche salì al cielo in nembi; cantici di religione sonarono nell’aria, più dolci di ogni aroma; e tutte le fronti si cinsero di corone.
L’infante si chiamò Làimo. Adagiato in una cuna mirabile, fatta di una conchiglia rara che due tritoni sorreggevano, egli volgeva in torno li occhi aventi nel riso l’umido splendore argenteo della polpa d’un fiore. Vennero le nutrici, femmine plebee dal seno opimo, vermiglie di salute; ed egli ritrasse dal loro latte la bocca. Soltanto una cerva fulva lo nutricò. Questa mammifera mansueta restava a