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354 san làimo navigatore.

Nel lato di settentrione spaziava il parco ricchissimo di selvaggina, ove tra li altri animali prolificavano diecimila cervi e sessantamila fagiani.

Uomini esperti in opera di canto e di stromenti armonici dilettavano l’animo del signore e della sua donna, serenavano le veglie, suscitavano gioia nei conviti. Un unguentario componeva profumi. Un monaco, che tra una gente d’Arabia aveva appreso ad usare le virtù dell’erbe, coltivava i semplici, e nei vegetali indigeni in vano cercava da tempo un succo che rompesse la sterilità della matrice.

La donna del signore, infeconda, traeva i giorni assorta in una nativa mestizia. I suoi occhi splendevano come puro elettro. Sotto la tunica si designavano le forme verginali giovenilmente. E quando ella saliva i gradini di porfiro, levata le mani verso l’altare, i capelli disciolti le inondavano la figura estatica, e le davano un’apparenza di deità.


Giunse al palagio l’infante, come un dono celeste. E per tutte le terre si sparse la novella; e tutte le genti soggette accorrevano.

Allora il sire magnifico bandì una luminaria conviviale. In segno di felicità, corsero giù per il colle fiumi di vino biondi e vermigli; si vuotarono vasi di miele fragrante di timo; si assaporarono frutta