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san làimo navigatore. 353

chi di fieni e di biade; l’olio empiva i pozzi nei sotterranei; tanta era la copia del fromento che immensi granai stavano sempre aperti al piacere di ognuno, liberal cibo anche alli uccelli del cielo, e tanta era la copia delle uve che in autunno, nella natività del vino, lunghe file di bestie da soma partivano a traverso i dominii, recando la divizia del liquore letificante.

Nell’interno i cortili marmorei, come li atrii di un re, erano giocondi d’acque vive, di aranci, di statue, di paggi e di cani. Corami preziosi incisi di chimere e di draghi, incrostature di agate e di diaspri, avori di liofanti e di liocorni ricoprivano le pareti delle stanze; le suppellettili materiate di legni, di metalli e di tessuti rari si riflettevano, come in lucidi specchi, ne’ pavimenti di musaico polito. Grandi logge sorrette da ordini di colonne in pietra numidica, coperte da tappeti di fiori e da cortinaggi di foglie, si prolungavano in fuga giù pe ’l declivio sino al limite della rada frequente di pesci. Sotto una delle logge erano le mude, governate da buoni maestri: ogni anno Candiotti, Sarmati e Sassoni le provvedevano di cinquecento girifalchi, e poi d’astori bianchi d’Africa, di sagri tartari, di pellegrini d’Irlanda, di tunisenghi germanici, di lanieri provenzani in grande abbondanza.