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Pagina:D'Annunzio - San Pantaleone, 1886.pdf/370

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362 san làimo navigatore.


Làimo dopo i teneri commiati salì su ’l ponte. Cinquanta remigatori ignudi, stropicciati d’olio di oliva e di polvere gialla, tutti vivi di muscoli, stretti d’una corda la testa a fin che nello sforzo le vene della fronte non scoppiassero, si curvarono su’ loro banchi; e la nave guizzò. Le genti dalla riva e dai paliscalmi salutavano. Ma un subito presentimento di sventura corse nell’animo del sire e della sua donna, tra il lungo clamore delle salutazioni.


La galea conquistava le lontananze, con una crescente celerità di remeggio, inseguita dalle torme dei delfini. Era il mare in calma; e i marinari, come sogliono per alloggiamento della lor fatica, a voce pari con la battuta dei remi cantavano. E Làimo, poichè si sentì ventar su ’l volto l’amarezza della salsuggine e ridere nell’animo a quei canti una forte gioia d’imprese, non lentò d’incitar con le voci e col gesto i remigatori. Egli dominava eretto su la sommità della prua: sotto di lui le schiene servili s’incurvavano come archi, i bicipiti delle cento braccia nel guizzo enorme parevano rompere la cute, le fronti si enfiavano di vene violacee, tutte le membra stillavano.

Si mise il vento; fu spiegata la vela quadra