Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/101

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Capitolo VIII.


Il monastero dell’isola posto fra il monte Gargano e Barletta era dedicato a S. Orsola. Le sue mura oggi non presentano allo sguardo che un monte di rovine coperte di spini e d’edera, ma all’epoca della nostra istoria erano in buon essere, e formavano un edifizio d’aspetto severo, innalzato dai tardi rimorsi d’una principessa della casa d’Anjou, che venne ivi a finir santamente una vita scorsa fra le sfrenatezze dei piaceri e dell’ambizione. Non si potrebbe desiderare solitudine più tranquilla o più amena di questa.

Sopra uno scoglio alto forse venti braccia sul livello del mare è un piano di terra fruttifera, che gira da cinquecento passi andanti. Nell’angolo più vicino alla terra ferma sorge la chiesa. Vi s’entra per un bel portico retto da gentili colonne di granito bigio. L’interno a tre navate con archi a sesto acuto posati su fasci di colonne sottili ornate d’intagli riceve la luce da lunghe finestre gotiche chiuse con invetriate a colori piene di storie de’ miracoli della santa. La tribuna dietro l’altar maggiore è tonda, ornata di musaici in campo d’oro. Vi si vede un Dio Padre nella gloria, ed ai suoi piedi S. Orsola con le undicimila vergini portate dagli angioli.

La chiesa, lontana dall’abitato, rimaneva quasi sempre vota. Le sole monache si radunavano in coro ad ore fissate del giorno e della notte per salmeggiare. Era verso sera, e mentre si cantava il vespero dietro l’altar maggiore con quella sua cantilena lunga e monotona, una donna pregava inginocchiata accanto ad un avello di marmo bianco ingiallito dagli anni, e co-