Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/248

Da Wikisource.

capitolo xvii. 245


— Sì, sì, cara, ve lo prometto, se venisse il bisogno.

— Oh! così son più tranquilla: ora fate che venga padre Mariano, e poi tutto è finito di qua.... Datemi ancora un sorso d’acqua, che mi pare d’aver i carboni accesi nel cuore.... quel lume se si potesse levarmelo d’innanzi, che mi abbaglia la vista. Perdonatemi tanto disagio, ma sarà per poco.

Vittoria, prestatile questi piccoli servigi, si ripose seduta sul lettuccio, e dopo non molto, Inigo, che era andato a far alzare Fra Mariano, s’affacciò sull’uscio domandando se poteva farlo entrare. Venga, venga, disse Ginevra. Comparve sulla porta un frate d’alta statura, la cui sembianza pallida e modesta era mezzo adombrata sotto il cappuccio; s’appressò al letto dicendo: Cristo vi guardi, signora. Usciron gli altri e rimase solo con lei.

La presenza di questo religioso, i suoi modi pieni di quella carità ardente che nasce dal conoscere quanto sia divina ed augusta la missione di sollevar l’uomo nelle sue miserie, indicavano a prima vista che da gran tempo tutti gli affetti, tutti i fini mondani gli stavano sotto i piedi.

La sua storia era una specie di mistero per gli abitanti di Barletta, e per gli stessi religiosi del convento di San Domenico; nel quale senza occupar nessuna carica dell’Ordine, viveva circondato da una sorta di riverenza, che nasceva dall’esempio delle sue virtù, dal suo sapere, e dalla persuasione ch’egli era vittima d’una persecuzione religiosa. Si bisbigliava che fosse stato al secolo uno de’ primi cittadini di Firenze, della setta così detta de’ Piagnoni, della quale era capo fra Girolamo Savonarola; che vinto dalle parole di quel terribile predicatore avesse abbandonato il mondo e preso dalle sue mani l’abito domenicano in San Marco. A questi fatti, che ognun teneva per veri, si frammischia-