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272 | ettore fieramosca |
terrotti, come per prova. Un tal qual ronzìo, ed un rumoreggiar sordo che veniva dal terreno della casa e da quelle dei vicini, voci indistinte e passi d’uomini e di cavalli per le strade indicavano che la maggior parte di coloro che dovevan essere attori o spettatori del fatto d’arme, avean principiato a mettersi in moto: in cielo però non si scorgeva ancora alcun principio d’albeggiare; anzi una caligine oscura nascondeva le stelle, e condensava l’atmosfera.
Fieramosca, che stava chiudendo le due lettere seduto accanto alla finestra aperta, se n’accorse guardando fuori, ove il piccol raggio della candela usciva divergente, illuminando quel tratto di nebbia ove poteva percuotere. La brutta apparenza del tempo, trovandolo già disposto alla mestizia, gliel’accrebbe; i pipistrelli che trapassavano con volo tremolo e veloce avanti la finestra, chiamati dallo splendore, le sentinelle poste sulle torri del castello e che, accostandosi l’ora del mutar le guardie, si chiamavano con un certo gridar lugubre, tutto in somma accresceva la tristezza di quest’ora, ed il combattuto giovane ne rimase oppresso un momento. Ma i passi gravi e sonanti di due uomini che, salita la scala gli entravano in camera, gli fecero alzar la fronte e comporre il viso in atto lieto ed ardito, onde non s’avvedessero del suo vero stato.
Comparì Brancaleone tutto coperto delle sue armi fuorchè il capo, accompagnato da Masuccio che portava l’arnese di Fieramosca. La campana di S. Domenico sonava la messa che dovevano udire i combattenti prima di partire pel campo.
— Armati, Ettore, che a momenti saranno tutti in chiesa, disse Brancaleone; ed ajutato da Masuccio in pochi minuti ebbe coperto il suo amico della perfetta e lucente armatura che usava portare nelle maggiori occasioni. Fabbricata da un dei migliori artefici di