Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/309

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306 conclusione.

vietata la stalla dopo tanta fatica: Hai ragione, ma abbi pazienza un altro poco e ti ristorerò di tutto.

La notte intanto s’andava avvicinando; era già tramontato il sole da una mezz’ora: Fieramosca il quale camminava verso l’oriente, aveva dietro le spalle il cielo sgombro e sereno, ed in faccia lo vedeva occupato da lunghi nuvoloni neri che di sotto finivano in una riga parallela all’orizzonte. Da questa si vedevano molte strisce di pioggia più o meno dense scendere a piombo sulla linea del mare; e le cime di quell’ammasso di nubi che salivano sino a mezzo il cielo, percosse ancora dalla luce del crepuscolo, si colorivano d’una tinta biancastra. Durava quasi continuo in mezzo a quel bujo il luccicar tremolo dei lampi, ed il romoreggiar cupo e lontano dei tuoni. Il mare andava ingrossando e minacciava fortuna; gonfio e nel mezzo d’una tinta quasi nera, sulla sola cresta dell’onde si vedeano scorrere spruzzi bianchi e minuti: alla spiaggia poi i flutti alzandosi gradatamente finivano in una lama sottilissima verde e trasparente, che veniva avanti simile ad un muro di vetro, finchè l’estremo lembo ravvolgendosi in sè stesso cadeva con fragore e inondava di schiuma la ghiaja asciutta del lido.

L’apparenza malinconica del tempo non poteva però in quel momento turbar d’un punto la felicità del giovane italiano. Misurava con occhio impaziente il tratto di strada che lo separava da S. Orsola, ed essendo la pioggia rasa e scoperta, potea vederlo tutto. Si immaginava il piacere del primo apparir di Ginevra: se la vedeva venir incontro con quel suo volger d’occhi onesto, con quel muoversi leggiadro e tutto grazia. Sperava poter giunger il primo a darle nuova della vittoria, e solo si travagliava considerando in qual più convenevol modo avesse a farle conoscere che ella oramai poteva disporre della sua mano.

A due tiri d’archibugio dalla torre, il vento di