Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/72

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capitolo v. 69

che era forte ed acuta, mi posi a sconficcar la cassa, e durai gran fatica con quel solo aiuto ad alzar i cappelli de’ chiodi; ma tanto feci che n’ebbi levato il coperchio.

Il bel corpo stava avvolto in un lenzuolo, vestito di panni bianchissimi. Io prima di morire volevo veder quell’angelo in viso ancora una volta. Mi posi ginocchioni, e andavo svolgendo i veli che mi toglievano quell’ultimo conforto. Alzai l’ultimo lembo, e apparve il volto di Ginevra: pareva una statua di cera. Tutto tremante calai la mia fronte sulla sua: ed alla sfuggita, che mi sembrò delitto, non potei fare di non baciarle le labbra. Le labbra diedero un piccolo tremito. Ebbi a cader morto. Può far tanto, dissi, Dio onnipotente, la tua misericordia! E le tenevo le mani ai polsi. Il batticuore mi toglieva il respiro. I polsi davano segno. Ginevra era viva!

Ma pensa com’io mi smarrii trovandomi a quel modo. S’ella si risente, dicevo, e si trova in questo luogo, lo spavento basta a darle la morte. Non sapevo che mi fare, e smaniavo. Mi volsi colle braccia stese a quella Madonna, e la pregavo: O vera Madre di Dio! fa ch’io possa salvarla, e giuro pel tuo divin Figliuolo, che sono vôlti solo al bene i miei pensieri. Ed in cuore feci voto solenne di non cercar mai da lei cosa che fosse contro l’onestà, s’io riuscivo a tornarla in vita, e cancellare in tutto e sempre ogni pensiero di dar morte al marito; la qual cosa sin allora avevo avuta fissa nell’animo, e deliberato prima o poi di porla ad esecuzione.

A questa preghiera fatta tanto di vero cuore non mancò il pietoso aiuto divino.

Il mio Franciotto che era uscito di casa, come ti dissi, nel tornare m’avea veduto andar verso ponte, e parte immaginandosi il vero, e temendo sempre, come mi disse di poi, ch’io non prendessi partito disperato, m’era venuto dietro. Ma, come discreto, si studiava di