Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/122

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o fosse poter di sensualitá, mi fece proporre di maritarla, offerendomi per tal atto tutta la facoltá che a lei, forse per imprudenza, lasciò il padre vostro. Siete in diritto di credere che amor di ricchezze m’abbia sedotto a condiscendere a un’offerta si turpe e ad uno stesso tempo ridicola. No, amici miei: se credete ciò, v’ingannate. Io ho abbastanza da vivere col frutto delle mie mani, e di superfluo non mi curo; ma, riflettendo che questa donna voleva a ogni modo un marito, mi affrettai a legarla co’ vincoli d’un matrimonio, temendo che un mio rifiuto non la obbligasse a cercarne un altro, che forse poteva essere men giusto e piú interessato di me. Fu dunque per caritá per voi, di cui conosco i bisogni e i diritti, che ho fatto un sacrifizio della mia libertá; fu per darvi, colla mano di padre adottivo, quello che la vostra madre naturale voleva togliervi. — Aperse, cosi dicendo, il bauletto, che posto aveva sopra una tavola; trasse tutte le cose che conteneva; ed: — Ecco — disse — tutta la ricchezza che v’appartiene e ch’io, pieno di vero giubilo, a voi rimetto. Dividetevela da buoni fratelli, e voglia Dio che serva a farvi felici. — Rimasero tutti muti, soprafatti, storditi per piú minuti; ond’egli. seguitando a parlare, informolli che avea ritenuto un capitale di seimila fiorini, il cui interesse dovea servire pel mantenimento della lor madre, e che anche questi, dopo la sua morte, voleva che appartenessero ad essi od a’ loro figli. Io non mi cimenterò a descrivere la scena che segui poi tra queste cinque persone. Non ripeterò le lagrime e i singulti di gioia, le offerte, le espressioni di gratitudine, i mutui abbracciamenti, le benedizioni : dirò solamente che si gettarono tutti quattro ai piedi del magnanimo giovine, cui chiamarono padre, amico, angelo, dio tutelare, e non fu che dopo un’ora di tali carezze e trasporti che si separarono per partire. Il buon gioielliere volle me ed il sartore testimoni di questo suo atto, degno d’un Socrate, d’un Aristide; e non so d’aver veduta o letta in tutta la vita mia una scena che piú di questa m’abbia sorpreso ed intenerito. Ci pregò allora d’andar a casa, ove, appena arrivati, avemmo la fine del dramma. Mandò a madama, poco dopo il nostro ritorno, una lettera, in cui le fece una patetica narrazione del fatto.