Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/130

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Partito dunque il mio persegutore, ch’era l’oracolo che per le altrui bocche parlava, mi venne in testa il pensiero di far una bella burletta a’miei Zoili, ch’io aveva gran voglia di castigare. Dolevasi giá il Martini del mio soverchio indugiare a dargli delle parole: appena finito il Figaro , il fratello della Storace, che aveva conosciuto meglio i talenti del suo primo poeta, ottenuto avea dall’imperatore d’aver un libretto da me, ch’io, per fargli piacere e spicciarmi, trassi da una comedia di Shakespeare. Come non doveva parer possibile eh’io scrivessi due drammi ad un tempo stesso, cosi opportuno mi parve il momento di porre in opera il mio disegno. Andai da Martini, e mi feci promettere che nessuno al mondo saprebbe ch’io doveva scrivere un dramma per lui. Il bravo spagnuolo mi servi ottimamente, e, per colorare meglio la cosa, finse di esser in collera meco pel mio ritardo e fece credere a tutti che un poeta, ch’aveagli fatto un’altr’opera a Venezia, gli avesse giá mandato un dramma e che egli stavane facendo la musica. Intanto, per piacere si a lui che aH’ambasciatrice di Spagna, sua protettrice, pensai di sceglier un soggetto spagnuolo; il che piacque estremamente al Martini e all’imperadore stesso, a cui affidai il mio secreto, ch’egli approvò estremamente. Dopo aver letto alcune commedie spagnuole, per conoscere alcun poco il carattere teatrale di quella nazione, mi piacque moltissimo una comedia di Calderon, intitolata La luna della Sierra ; e, prendendo da quella la parte istorica e una certa pittura de’ caratteri, formai il mio piano, nel quale ebbi occasione di far brillare tutti i migliori cantanti della compagnia di quel teatro. Il soggetto del dramma era semplicissimo. L’infante di Spagna s’innamora d’una bellissima serrana. Essa, innamorata d’un serrano e virtuosissima per carattere, resiste a tutti gli assalti di quel principe, e prima e dopo le nozze. Intitolo dunque l’opera Una cosa rara, ossia bellezza e onestá , corroborando quel titolo col famoso verso del satirico: «Rara est concordia formae atque pudicitiae». Mi misi al lavoro, e mi convien confessare di non aver mai scritto versi in tutta la vita mia con tanta celeritá né con tanto diletto. Fosse un