Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/132

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d’allpra una musica si vaga, si amena, si nova e si popolare.

Mi domandò il libretto, ch’io aveva per buona sorte portato meco. Apertolo a caso, gli venne davanti il primo finale, che terminava con questi versi:

Ma quel eh’è fatto, è fatto, e non si può cangiar.

— Non può essere piú a proposito, — gridò Giuseppe sorridendo. Prese subito la matita, e scrisse in un foglietto queste parole :

Caro conte, dite a’miei cantanti c’ho udite le loro doglianze quanto all’opera del Martini, che me ne dispiace moltissimo; ma che «quel eh’è fatto, è fatto, e non si può cangiar».

Giuseppe. Mandò sul fatto al conte di Rosemberg quel biglietto, il quale lo fece leggere il giorno stesso ai cantanti alle pruove teatrali. Impauri quelle teste bizzarre la lettura del reale scritto, ma non scemonne il dispetto. Ripresero le parti, non cessando nelle loro combricole di mormorare, di criticare e di maledir lo spagnuolo e la di lui musica. Arrivò la sera della prima rappresentazione. Il teatro era pieno di spettatori, per la maggior parte nemici e disposti a fischiare. Trovossi però, sin dal cominciamento della rappresentazione, una tal grazia, una tal dolcezza, una tal melodia nella musica e una tal novitá ed interesse nelle parole, che l’udienza parea rapita in un’estasi ili piacere. Ad un silenzio, ad una attenzione, non mai prestata prima ad alcun’opera italiana, succedeva un frastuono d’applausi, anzi pur d’urlamenti di dilettazione e di gioia. Si comprese sul fatto l’intrigo de’cabalisti, e si unirono tutti concordemente nel batter di mani e nelle piú vive acclamazioni. Dopo il primo atto, domandarono le frequentatrici del teatro chi era il poeta. Aveano queste udito Casti e i parziali suoi parlar si poco favorevolmente del mio sapere drammatico, che nemmeno passava loro pel capo ch’io ne potessi esser l’autore, e, quantunque lo stile della Cosa rara non fosse diverso da quello del Burbero, del Figaro e degli altri miei primi drammi, pure non s’è