Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/148

Da Wikisource.

ed il rimanente del tutto vuoto. Io non aveva per fare ciò che tre giorni di tempo. Scelsi l’allora giovine Weigl per fare la musica. Lo condussi la sera da me: feci la prima aria della mia cantata, che intitolai II tempio di Flora , e, mentre ei faceva la musica di quella, io intendeva di proseguire. Erano questi i versi della prima aria:

Di gemme e di stelle s’avessi abbondanza, corona di quelle a te vorrei far. Ma il fato non diemmi che impero de’ fiori: son questi i tesori che a te posso dar.

Appena lessi questi versi al compositore, che, come fosse invasato d’una fiamma celeste, si mise a farne rapidissimamente la musica, che in veritá era d’una armonia e squisitezza meravigliosa. Il suo entusiasmo accrebbe subito il mio, e dalla sera alla mattina quella cantata era intieramente finita. Tre di dopo si rappresentò; e l’eflfetto fu sorprendente. L’idea di quella era si nuova, che varrá il prezzo dell’opera il farne la descrizione. Questa rotonda conteneva circa trecento persone, oltre un piccolo spazio destinato agli attori. Levata la statua di Flora, vi misi sul piedistallo una cantante, che, rimanendo del tutto immobile, faceva parere agli spettatori d’essere la dea marmorea. Una specie di sipario, situato dietro alla statua, nascondeva una banda numerosissima di strumenti da fiato, e il loco era oscurissimo. Allo splendore cupo d’un lanternino, entrar doveva al mio cenno la reai compagnia col suo séguito, e al primo entrarvi tutto era silenzio ed oscuritá; ma ad un tratto illuminavasi il loco da una infinitá di lumicini celati sulle cornici del tempio, e l’orchestra nascosta, con suoni a poco a poro crescenti, empieva quel loco d’una melodia di paradiso. Gli spettatori trovavansi improvvisamente assisi su sedili di fiori, e, dopo la prima aria e un recitativo di Flora, scaturivano dal palco