Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/156

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verso cui tanto spesso aveva esercitate le piú distinte beneficenze; biasmato. maledetto, avvilito dagli oziosi, dagli ipocriti, dai trionfanti nemici ; cacciato alfin da un teatro, che non esisteva che per opera mia; io sono stato piú volte all’istantaneo procinto di togliermi colle mie mani la vita. Il conoscimento della propria innocenza, invece di consolarmi, raddoppiava la mia disperazione. Io poteva bene riputarmi innocente, ma come provarlo ad un giudice che mi avea condannato senza udirmi e che, per colmo della disgrazia, era allora lontano dai suoi domini? Passai tra le lagrime e la desolazione tre giorni e tre notti. Due sole persone, a cui prima della mia partenza aveva indicato il loco del mio ritiro, vennero dopo tal tempo a visitarmi. Queste mi consigliarono d’aspettare in quel loco stesso il ritorno dell’imperadore. Voleano che mi giustificassi, ch’io chiamassi in giudizio i miei accusatori, che difendessi il mio onore, giacché non m’importava piu dell’impiego. Mi lanciai vincere. Scrissi colla maggior evidenza il compendio di questa storia, offersi i piú legittimi documenti alla prova, e per mezzo d’integerrimo personaggio, che venne a vedermi secretamente per compassione, mi riusci di farla capitare in Italia al sovrano. Si riseppe, non so come, nella cittá il loco della mia dimora e il maneggio mio. I calunniatori tremarono. Conveniva prevenire il fulmine. Non c’era che un modo, ed era quello di non lasciarmi tempo da parlar a Leopoldo, che si sapeva esser giá vicino al ritorno. Si mandarono improvvisamente in mia casa due commissari di polizia, i quali mi cavaron dal letto, mi condussero senza parlare a Vienna, e, dopo avermi lasciato due ore in sospetto se si trattasse di condurmi alle carceri o al patibolo, m’ordinarono prò tribunali , da parte di «colui che tutto puote», di allontanarmi nello spazio di ventiquattro ore dalla capitale e da tutte le vicine cittá. Io ero avvezzo ai gran colpi. Questo non mi lasciò sentire tutto l’eccesso dell’ultimo. Domandai placidamente da chi mi veniva tal ordine. Un d’essi mi rispose seccamente: — Da colui che comanda. — Chiesi di parlare al direttore di quel tribunale; non fu picciola grazia che me l’abbiano permesso. Era questo il conte Saur, uno de’ piú